–“Le Donne descritte nelle leggende Medievali, sono ragazze, promesse spose che decidono di combattere per la difesa della propria patria. Una di queste donne da ricordare è Chinzica de Sismondi!
Siete pronti a conoscere la sua storia?”
Chinzica Sismondi era la figlia di una delle famiglie aristocratiche di Pisa. Fin da piccola fece notare di non essere una bambina paurosa.
In quel tempo ovvero alla fine del primo millennio d.C., era solito organizzare delle feste in onore dei giovani che partivano in battaglia.

Quando i giovani pisani dovettero partire in direzione della Calabria, la festa si fece a casa Sismondi: non era più un incontro tra l’aristocrazia pisana, ma c’erano anche danzatori e musicisti
All’epoca le donne si facevano vanto del fatto che il proprio marito o fidanzato dovesse partire in difesa della città o per espandere le influenze pisane.
Con la partenza dei più valorosi giovani, la città rimase senza un esercito per sostenere eventuali attacchi nemici.
Di questa situazione ne approfittò il re della Sardegna Musetto, il quale attaccò la città durante la notte.

Durante l’attacco Chinzica dormiva, ma dei frastuoni la svegliarono.
Affacciandosi dalla finestra vide i nemici aggirarsi nelle vie del quartiere e incendiare i portoni in legno delle abitazioni.
La ragazza scese in strada e si fece spazio tra le grida di terrore della popolazione, fino a quando non viene afferrata da un moro. Lei lo colpì con un frammento di legno causandogli uno svenimento. Allora lei gli rubò l’arma e corse via.
Riuscì a raggiungere l’altro lato del fiume Arno e si diresse dove abitavano i consoli della città e avvisa dell’invasione dei saraceni.
La ragazza scese in strada e si fece spazio tra le grida di terrore della popolazione, fino a quando non viene afferrata da un moro. Lei lo colpì con un frammento di legno causandogli uno svenimento. Allora lei gli rubò l’arma e corse via.
Riuscì a raggiungere l’altro lato del fiume Arno e si diresse dove abitavano i consoli della città e avvisa dell’invasione dei saraceni.

In breve tempo l’addetto del palazzo iniziò a suonare le campane che avvisavano i reggenti dell’attacco. Da quel momento in poi i pisani si strinsero per cacciare il nemico dalla città.
Proprio in quel momento tornarono anche i giovani dalle imprese pisane nel Meridione, i quali riuscirono a mettere in fuga i Saraceni.
Bassorilievo proveniente da un sarcofago del III secolo d.C. e raffigurante una musa (o una matrona).
Il volto è stato in parte rielaborato nel XII secolo.
Pisa rinacque più bella dalle sue rovine, ed allettò fin dai primi momenti la speranza e il desiderio di rifarsi sui Saraceni delle perdite sofferte, e di lavarne l’onta nel loro sangue.
Sotto il comando dell’ammiraglio Carlo Orlandi, una flotta di scelte navi, fornita di valorosi guerrieri catturò 18 navi e moltissimi prigionieri.
I vincitori decisero di costruire una statua per celebrare l’onore della ragazza.


–“Si pensa, però, che il nome della fanciulla non sia quello vero, ma che gli fu attribuito in seguito. Infatti in quegli anni il lato sinistro dell’Arno (ovvero la parte settentrionale della città) si chiamasse Chinzica!”
-“Sapevate che è proprio a questo evento che si fa risalire la famosa cecina toscana? Il famoso sformato sottile di farina di ceci cotto in forno, già noto a Greci e Romani e conosciuto oggi fuori da Pisa coi nomi di farinata, fainè, socca, ecc. a seconda del luogo. Quando la giovane dette l’allarme, i concittadini presi dal panico reagirono gettando istintivamente di tutto dalle finestre, per respingere gli invasori; e così tavoli, ferri, vasi, bastoni, oggetti vari e persino provviste alimentari fra cui bottiglie d’olio e sacchi di ceci: questi ultimi, mescolandosi a terra, calpestati ed essiccati al sole il giorno successivo, formarono una poltiglia che la popolazione, affamata e stanca per la battaglia sostenuta, assaggiò e scoprì sorprendentemente gustosa.
Fu così che per scherno ai saraceni, che si erano ritirati a mani vuote, quella pappa al gusto di ceci venne da allora chiamata “l’oro di Pisa”, in segno di scherno per il famoso tesoro invano anelato dai saraceni: era nata la cecìna, detta “doratino” quando consumata all’interno di una tipica focaccina rotonda, la stiacciatina o frittella”