L’età dell’oro

Titolo L’età dell’oro
Disegnatore Hendrick Goltzius
Incisore Anonimo
Misure 255 mm x 168 mm
Rif. Bartsch 33
Collocazione Collezione privata
Testo iscrizione “ Aurea Saturno rutilabant secula Rege

Nectaris, et passim flumina lactis erant.

Sponte decus florum Tellus inculta ferebat

Bacchique et Cereris sponte ferebat opes.”

Traduzione Iscrizione
Commento Iscrizione Sotto Saturno, la terra era fertile senza bisogno di essere lavorata, tanto che Bacco e Cerere coglievano i frutti nati spontaneamente.
Testo Metamorfosi Ovidio, Met., Libro I, vv. 89-112.
Descrizione La scena è abitata da una moltitudine di personaggi, immersi in un paesaggio selvaggio, in cui non si percepisce l’intervento dell’uomo. L’atteggiamento dei protagonisti ricorda quello tenuto durante i baccanali; gli individui, infatti, sono ritratti mentre mangiano i frutti appena raccolti o si lasciano andare a effusioni amorose. Ciò che viene trasmesso è un assoluto senso di pace e fratellanza, poiché gli uomini appartenenti alla stirpe dell’oro ancora non conoscevano l’odio e l’istinto alla battaglia. Centrale alla composizione, disteso su un letto di nuvole, si vede un dio che reca in mano una falce, Saturno, come segno di buon auspicio e fertilità, mentre, alla sinistra della composizione, si trova la personificazione di un vento, raffigurato da un volto umano ritratto nell’atto di soffiare; probabilmente si tratta di uno degli Zefiri che blandiscono i campi con il soffio tiepido della primavera [placidique tepentibus auris mulcebant Zephyri natos sine semine flores].

 

Iconclass 91E21
Parole chiave

età; oro; fertilità; civiltà; benessere; fertilità; frutti; natura; pace;

Commento descrizione L’episodio rappresentato è relativo all’età dell’oro, quando gli uomini vivevano in uno stato di beatitudine e pace reciproca, senza bisogno di leggi né di punizioni. Gli uomini ignoravano l’arte militare e l’uso delle armi. La pace degli uomini era riflessa dalla natura; infatti, la terra era fertile senza necessità di essere lavorata, poiché tutto veniva prodotto spontaneamente. Regnava imperitura la primavera [Ver erat aeternum] e i campi erano totalmente ricoperti da spighe di grano.

Il senso di beatitudine raccontato nel testo è, infatti, reso grazie a un contesto bucolico in cui i protagonisti sono adagiati, quasi a fondersi. Il benessere è trasmesso grazie a una natura ricca e rigogliosa, un luogo ameno non ancora intaccato dalla civiltà, in grado di riprodursi senza bisogno di intervento umano; Bacco e Cerere, a simbolo della fertilità della terra, nominati nella versione di Estius, ma non presenti nel testo originale, possono essere evocati dalla rappresentazione di campi di grano, frutti e tralci di uva, ma nella rappresentazione non vi sono rimandi espliciti che ne confermino la presenza.

Mettendo i due testi a confronto è possibile rintracciare alcuni costrutti sintattici che ritornano; nelle Metamorfosi, infatti, al verso 109, Ovidio, a proposito della fertilità spontanea della terra scrive “[…] tellus inarata ferebat”, espressione ripresa poi da Estius che, allo stesso proposito, dice “Tellus inculta ferebat”. E di nuovo, a simboleggiare la ricchezza di questa fase storica, la fonte latina parla di fiumi colmi di latte e nettare, al verso 111 “flumina iam lactis, iam flumina nectaris ibant”, idea ripresa da Estius che scrive di “Nectaris, et passim flumina lactis erant”.

Il rimando alla fonte ovidiana appare piuttosto chiara, segno evidente che lo stesso Estius si sia ispirato ai versi latini per stendere i propri distici. È probabile che l’autore abbia fatto riferimento a quelli che ha ritenuto essere i versi più significativi di Ovidio, da mettere in evidenza per rendere comprensibile quanto descritto.

 

 

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