Giove e Io

Titolo Giove e Io
Disegnatore Hendrick Goltzius
Incisore Anonimo
Misure 255 mmx 168 mm
Rif. Bartsch 46
Collocazione Collezione privata
Testo iscrizione “ Iuppiter inachiden densa caligine stuprat

Juno sui sensit furta petulca viri

Quod deus advertens, Io sub imagine vaccae

Occuluit, quae post de bove facta dea est”

Traduzione Iscrizione
Commento Iscrizione
Testo Metamorfosi Ovidio, Met., Libro I, vv. 583-624.
Descrizione La scena è costruita in maniera simmetrica con una parte in ombra e l’altra illuminata. È rappresentato l’atto violento della cattura di Io da parte di Giove, fanciulla amata dal dio non corrisposto; il tentato rapimento della giovane sembra svolgersi in una fitta parte di boscaglia di cui però si percepisce un’apertura tra i rami che conduce all’aperto. Nella zona di luce, infatti, si riconosce una giovenca, l’animale in cui viene trasformata Io per essere sottratta all’ira di Giunone, consapevole del tradimento del consorte. Nella parte superiore, in prossimità della vacca, si intravede anche un cielo nuvoloso; la caduta della nebbia, infatti, è uno stratagemma adottato da Giove per nascondere l’accaduto alla moglie.
Iconclass 97CC6
Parole chiave

Giove; Io; giovenca; animale; ira; vacca; mucca; bosco; Peneo; dei fluviali; fiumi; Giunone; Inaco; stupro;

Commento descrizione L’episodio raccontato è conseguente al precedente; Io, infatti, è figlia di Inaco, uno degli dei fluviali non presente all’assemblea voluta da Peneo proprio perché preoccupato per le sorti della figlia. La fanciulla di bellissimo aspetto, infatti, è uno dei tanti obiettivi amorosi di Giove che riesce a rapirla e stuprarla nel bosco, dove si svolge la vicenda, come si legge nel testo latino: “quodsi sola times latebras intrare ferarum, praeside tuta deo nemorum secreta subibis”. Prima di compiere il gesto, però, il dio del cielo fa scendere sulla terra una nebbia fitta, in modo che siano oscurati i suoi atti agli occhi di Giunone perché già insospettita; come racconta Ovidio: “inducta latas caligine terras occuluit tenuitque fugam rapuitque pudorem”, e ripreso poi da Estius: “Iuppiter inachiden densa caligine stuprat”. La dea, sorella e moglie di Giove, poiché entrambi figli di Saturno e per questo definita “Saturnia” da Ovidio, ormai abituata ai tradimenti del marito, fatto risaputo e riportato da Estius “Juno sui sensit furta petulla viri”, si era recata sulla terra per controllare la situazione. Giove, prontamente, decide di trasformare la sua amante Io in una giovenca da donare alla consorte che, tuttavia, rimane sospettosa. Goltzius costruisce la scena in maniera anacrostica condensando due momenti, ossia il rapimento e lo stupro di Io, rappresentata con sembianze ancora umane mentre cerca di divincolarsi dalle braccia del dio, e il momento successivo, quando la fanciulla è presente nella composizione già trasformata in vacca, in compagnia dello stesso Giove che, probabilmente, la sta conducendo da Giunone, seduta tra le nubi mentre scende sulla terra.
Confronti con altre incisioni
Osservazioni
Bibliografia Bibliografia