Salmaci ed Ermafrodito

Titolo Salmaci ed Ermafrodito
Disegnatore Hendrick Goltzius
Incisore Robert de Boudous
Misure 255 mm x 168 mm
Luogo di stampa 82
Collocazione Collezione privata
Testo iscrizione Invitum medio completens Naiade fonte,

Salmacis,  ut pugnes numquam tamen improbe, dixit,

effuges; Dictoque fides fuit, et duo in unum

corpus eunt sexuque simul spectatur utroque

Traduzione Iscrizione
Commento Iscrizione La ninfa Naiade, Salmaci, immersa nella fonte prega gli dei di congiungere il suo corpo a quello dell’amato. Dalla fusione dei due nasce un giovane ibrido, parzialmente trasformato in femmina.
Testo Metamorfosi Ovidio, Met., Libro IV, vv. 285-388.
Descrizione In una dolce radura boschiva, sul bordo di uno stagno siedono due personaggi, un ragazzo e una ragazza, dolcemente abbracciati. Il contesto richiama una sensazione di pace e benessere, un locus amoenus in cui è collocata una scena di amore appena sbocciato.
Iconclass 97K2
Parole chiave

Salmaci; Ermafrodito; Minia; Diana; Atlante; maschile; femminile; Mercurio; Venere; doppia natura;

Commento descrizione La terza figlia di Minia, Alcitoe, racconta la favola di Salmaci ed Ermafrodito. Salmaci, era una ninfa Naiade, come viene definita anche da Ryckius, “completens Naiade fonte/ Salmacis”, ma poco incline alla caccia e, per questo, poco considerata da Diana. La fanciulla, infatti, era solita passare le giornate immergendosi e pettinandosi nei pressi di una fonte della Licia, località in cui, per caso, era giunto Ermafrodito. Questi era figlio di Mercurio e Venere, di cui portava i nomi. La bella ninfa, scorgendo il giovane uomo immergersi nella fonte ne se innamora perdutamente, nonostante non sia ricambiata. Presa da un impeto di passione, intravedendo il corpo nudo dell’amato, Salmaci decide di cogliere Ermafrodito di sorpresa per congiungersi a lui; il dio, discendente di Atlante, “Atlantiades” come definito da Ovidio, fa di tutto per resisterle, al punto che quella, ormai disperata nella sua pena d’amore, prega gli dei che i loro corpi non si separino mai più. Gli dei la ascoltano, fondendo così i due esseri, “duo in unum/ corpuseunt sexuq. simul spectatur utroq”. Quando il giovane si rende conto di essere ibrido e parzialmente trasformato in femmina, maledice la fonte, condannando chiunque vi si immergesse a essere trasformato in un’entità mista.

La composizione non è ideata in maniera da rendere il mito immediatamente riconoscibile; in base al testo latino, il momento cruciale dell’episodio è quello che racconta la fusione di Salmaci ed Ermafrodito in un’unica persona, all’interno dell’acqua, stretti in una sorta di abbraccio fatale: “nam mixta duorum/ corpora iunguntur, faciesque inducitur illis/ una. velut, si quis conducat cortice/ ramos, crescendo iungi pariterque adolescere cernit, sic ubi conplexu coierunt membra tenaci, nec duo sunt et forma duplex, nec femina dici nec puer ut possit, neutrumque et utrumque videntur”. In realtà la scena racconta di due giovani che potrebbero essere due amanti sconosciuti che si stanno beando del proprio amore sulle rive di uno stagno; l’iscrizione risulta quindi fondamentale per comprendere a quale mito l’autore stia facendo riferimento.

Confronti con altre incisioni
Osservazioni
Bibliografia Bibliografia