Cesare Ripa e l’Iconologia

Negli ultimi anni l’Iconologia ha richiamato a sé l’attenzione del mondo dell’arte, divenendo fonte di ispirazione di alcuni artisti contemporanei, a ribadire, con incredibile longevità, il ruolo di manuale iconografico per artisti che la sua lunga storia editoriale le ha progressivamente attribuito . Tuttavia, nonostante le complesse vicende della sua lunghissima fortuna – dalla grande autorità goduta nel Seicento, al brusco declino nell’epoca neoclassica, alla parentesi messicana nell’Ottocento, alla ‘riscoperta’ di Émile Mâle nel Novecento  – il manuale di Ripa ha atteso fino ad oggi un’edizione che aspirasse a definirne la natura, la genesi e i modelli ispiratori nella sua fase iniziale e nei successivi sviluppi. Ha certo contribuito al permanere di questa sorprendente lacuna non solo la sua straordinaria utilità pratica, come repertorio efficace e di facile consultazione per il riconoscimento di personificazioni e simboli, ma anche l’inafferrabilità della sua natura in continua trasformazione.
Alle fortunose oscillazioni di una fama mai completamente oscurata il testo contrappone, come uno strano e apparente paradosso, l’indistinto profilo del suo autore, una figura che continua ancora oggi a rimanere indefinita, con contorni biografici sfumati , al punto che in passato fu messa in dubbio perfino l’autenticità del suo nome. Un manoscritto del XVII secolo, dedicato agli accademici intronati di Siena e redatto da Uberto Benvoglienti, suggeriva infatti di considerare il nome Cesare Ripa come pseudonimo di Giovanni Campani. La questione, avanzata e discussa da Erna Mandowsky , è stata definitivamente risolta solo dopo il ritrovamento da parte di Chiara Stefani degli Stati d’anime della parrocchia di Santa Maria del Popolo, che attestano la presenza del letterato a Roma tra il 1611 e il 1620, confermando la veridicità del suo nome .
Sappiamo che Cesare Ripa nacque a Perugia intorno al 1555. Non conosciamo particolari sulla sua formazione e istruzione, mentre è possibile documentare il suo rapporto con alcune accademie letterarie come quella dei Filomati e Intronati e di Siena, dedite allo studio dell’antiquaria e dei classici greci e latini, quella degli Insensati di Perugia, con cui continuò ad avere rapporti anche dopo la sua partenza dalla città natale , e quella degli Incitati ricordata ampiamente nell’editio princeps dell’Iconologia . Ancora molto giovane si recò a Roma per lavorare alla corte del cardinale Antonio Maria Salviati, dove venne assunto come trinciante, cioè come addetto a tagliare le vivande durante i banchetti, un ruolo che implicava anche il compito di intrattenere la raffinata cerchia degli ospiti del cardinale con doti di colta eloquenza . Tramite il suo autorevolissimo patrono Ripa ebbe dunque rapporti con intellettuali e antiquari come Zaratino Castellini, Fulvio Mariottelli, Pier Leone Casella, Marzio Milesi, Porfirio Feliciani e con esponenti dell’Accademia degli Insensati a sua volta intrecciata con quella di S. Luca. Durante gli anni vissuti presso il Salviati, usufruendo delle colte amicizie e della ricca bibilioteca del cardinale , Ripa compose l’Iconologia, grazie alla quale ottenne il titolo di “Cavaliere de’ Santi Mauritio et Lazaro” conferitogli da Papa Clemente VIII, il 30 marzo 1598 , e poté intrecciare rapporti con alcuni pittori e artisti del tempo . Dopo la morte del cardinal Antonio Maria Salviati, avvenuta il 28 aprile 1602, Ripa continuò ad essere legato al suo erede, il Marchese Lorenzo Salviati, al quale dedicò l’edizione del 1603 dell’Iconologia . Egli morì mentre lavorava ad una nuova stesura dell’opera (edita postuma con aggiunte di Giovanni Zaratino Castellini nel 1625), probabilmente in estrema povertà, il 22 gennaio 1622 .
I pochi dati disponibili tracciano dunque una biografia definita all’interno di esigue direttrici documentarie, e ci restituiscono un ambiente più che una personalità ben precisa. Ma proprio l’opacità della figura di Ripa, a contrasto con la fortuna clamorosa del testo, è forse il segno più evidente della natura corale dell’opera, che, come ogni enciclopedia, non vuol porsi come frutto dell’ingegno individuale ma, più anonimamente, come summa di un’epoca.
Con la sua cristallina struttura e la pratica compilatoria che ne è all’origine, l’Iconologia risponde infatti alle esigenze sistematiche del Cinquecento